La Presidenza della Conferenza episcopale polacca ha rilasciato una dichiarazione riguardo al dibattito che è in corso sulla “Convenzione Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” adottata l’11 maggio 2011, comunemente nota come Convenzione di Istanbul. La dichiarazione è in linea con la posizione dei Vescovi dell’Europa centrale che ne hanno esortato il rigetto. Si esprime allo stesso tempo il sostegno a favore di un’iniziativa legislativa popolare di sostituire la Convenzione con una Convenzione internazionale dei diritti della famiglia.

La Presidenza della Conferenza episcopale fa notare che la Convenzione di Istanbul indica “come una delle cause della violenza contro le donne e della violenza domestica la religione e la tradizione” (art. 12 c. 5). Di conseguenza, la Convenzione richiede agli Stati firmatari di promuovere “cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini”. I Vescovi ricordano tuttavia che il matrimonio rappresenta una “unione duratura tra una donna e un uomo” e ne sottolineano “i ruoli complementari: la maternità e la paternità”, i quali “non sono stereotipi culturali, bensì il fondamento della vita umana e sociale, secondo la volontà del Creatore stesso”.

I Vescovi incoraggiano a promuovere qualsiasi cambiamento nel diritto penale polacco che serva a tutelare ancor di più e rendere ancora più sicura la vita familiare. Ricordano che “le principali fonti dei fenomeni di crisi della vita familiare, che a volte si trasformano in comportamenti patologici e atti di violenza, sono: l’alcolismo, la tossicodipendenza e altre dipendenze, così come la pornografizzazione della cultura di massa con la conseguente riduzione della donna a oggetto, e la disumanizzazione della vita sessuale”.

Ufficio Stampa della Conferenza episcopale polacca

Di seguito pubblichiamo il testo integrale della dichiarazione:

Dichiarazione
della Presidenza della Conferenza episcopale polacca
nella materia della Convenzione di Istanbul

Nel contesto del dibattito che coinvolge il nostro Paese e che riguarda il mantenimento o, al contrario, il ritiro della “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, adottata l’11 maggio 2011 a Istanbul, comunemente nota come Convenzione di Istanbul, desideriamo ricordare che una posizione unitaria in tale materia è stata già adottata dall’assemblea dei vescovi dell’Europa centrale che hanno esortato al rifiuto del documento.

Allo stesso tempo, accogliamo con favore la nascita di un’iniziativa legislativa popolare per recedere dalla Convenzione di Istanbul e sostituirla con una Convenzione internazionale sui diritti della famiglia, incoraggiando alla promozione di tale iniziativa.

La Convenzione di Istanbul vuole giustamente contrastare la discriminazione basata sulla differenza di sesso (ingl. sex, franc. sexe), o differenze biologiche tra donna e uomo. Tuttavia, accanto a questo, la Convenzione introduce elementi di ideologia del gender, parlando della necessità di contrastare diverse forme di discriminazione legate al genere (ingl. gender, franc. genre). Il termine gender che ritorna più volte nel documento, tradotto in polacco come “sesso socio-culturale”, è definito nella Convenzione come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” (cfr. Convenzione di Istanbul, articolo 3, lettera c).

Inoltre, la Convenzione di Istanbul menziona anche come una delle cause della violenza contro le donne e della violenza domestica la religione e la tradizione (cfr. Ibidem, articolo 12, paragrafo 5). Pertanto la Convenzione richiede ai Paesi firmatari di promuovere “cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini”  (cfr. ibidem, articolo 12, paragrafo 1), e di includere “nei programmi scolastici di ogni ordine e grado (…) temi quali la parità tra i sessi, [e] ruoli socio-culturali non stereotipati” (cfr. ibidem, articolo 14, paragrafo 1).

Il matrimonio invece, che e’ una unione duratura tra una donna e un uomo, e i loro ruoli complementari: la maternità e la paternità, che sono anche valori costituzionali polacchi, non sono stereotipi culturali, bensì il fondamento della vita umana e sociale, secondo la volontà del Creatore stesso (cfr. Gen 1, 27-28).

Inoltre, sosteniamo – e incoraggiamo a sostenere – qualsiasi cambiamento nel diritto penale polacco che serva a tutelare ancor di più e rendere ancora più sicura la vita familiare. Ricordiamo che le principali fonti dei fenomeni di crisi della vita familiare, che a volte si trasformano in comportamenti patologici e atti di violenza, sono: l’alcolismo, la tossicodipendenza e altre dipendenze, così come la pornografizzazione della cultura di massa con la conseguente riduzione della donna a oggetto, e la disumanizzazione della vita sessuale.

mons. Stanisław Gądecki
Arcivescovo Metropolita di Poznań
Presidente della Conferenza episcopale polacca
Vice Presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa (CCEE)

mons. Marek Jędraszewski
Arcivescovo Metropolita di Cracovia
Vice Presidente della Conferenza episcopale polacca

mons. Artur G. Miziński
Segretario Generale della Conferenza episcopale polacca

Varsavia, 17 settembre 2020

tłum. A. Soroka-Kulma / Biuro ds. komunikacji zagranicznej Sekretariatu KEP