PLENARIA del CONSIGLIO delle CONFERENZE EPISCOPALI d’EUROPA
Poznan 13-16 settembre 2018

INTRODUZIONE
Card. Angelo Bagnasco – Presidente del CCEE

1. Il nostro grato pensiero va al Santo Padre Francesco per il suo incoraggiante Messaggio e che da poco ha presieduto l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Dublino: insieme a Lui ringraziamo la moltitudine di sposi e di famiglie che testimoniano al mondo la bellezza del Vangelo del matrimonio e della famiglia, e che – nella fedeltà all’amore quotidiano – santificano la loro vita, e incoraggiano i giovani a non avere paura degli impegni alti, fecondi e definitivi. Con Lui ripetiamo: “la famiglia che prega insieme, rimane insieme!” (Discorso alle famiglie, Dublino, 25.8.2018). Al Papa assicuriamo la nostra costante preghiera per la sua Persona e il suo universale ministero sulla cattedra di Pietro, gli confermiamo stima e affetto, la più viva solidarietà, la nostra collegiale vicinanza: accanto a Lui in ogni momento, specialmente in quelli che ingiustamente appesantiscono i passi ma non piegano il cuore. Come Consiglio delle Conferenze, a nome nostro e dei Confratelli, delle Chiese in Europa, esprimeremo questi sentimenti con un messaggio che invieremo a Lui.

2. In questa Assemblea, alla luce della Plenaria di Minsk, abbiamo messo al centro di questi giorni il tema della solidarietà nel Continente. Dall’ultimo nostro Incontro sono avvenuti fatti nuovi, cambiamenti che toccano singoli, popoli, Nazioni e Stati. È sotto gli occhi di tutti che l’Europa vive un tempo di difficoltà nel suo comune cammino: e questo non riguarda solamente l’unione Europea ma, più ampiamente, tutto il Continente. Circostanze di carattere politico e culturale, fenomeni nuovi, spinte contraddittorie, sembrano determinare sentimenti diversi, sensibilità che fanno fatica a dialogare e a comprendersi con libertà da pregiudizi; a volte si registrano delle chiusure dell’anima e delle menti, forse riaffiorano ricordi passati non del tutto riconciliati; certe prassi sembrano troppo pesanti o poco motivate, che i pesi siano poco distribuiti, che le diverse identità siano viste come ostacoli anziché come ricchezza da riconoscere e armonizzare per un cammino più convinto, solidale, necessario.

Il forte individualismo culturale, che viene seminato a larghe mani ovunque, non è casuale: è diffuso ad arte per sciogliere la cultura dei legami ad ogni livello, famiglia, società civili, comunità religiose… Gli individui si sentono sempre più isolati come se fossero spinti ad essere senza volto, fuori da una storia che li identifica, anziché eredi di un patrimonio di contenuti culturali e di valori spirituali che accomunano senza rinchiudersi, che consentono di aprirsi a tutti senza perdere se stessi. Questo stato di cose crea smarrimento e paure da cui possono nascere sentimenti e comportamenti opposti. Michel Foucault scrive a proposito di Nietzsche che annuncia la morte di Dio e dichiara che il suo uccisore è l’uomo: “Più che la morte di Dio – o meglio sulla scia di tale morte e in correlazione profonda con essa – il pensiero di Nietzsche annuncia la fine del suo uccisore” (Michel Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1964, pag. 337). In questo orizzonte, anche lo spirito della solidarietà umana e cristiana sembra essere messo a prova: saremo aiutati a mettere a fuoco la situazione a partire dai dati raccolti dalle Conferenze Episcopali della maggior parte dell’Europa, creando così un buon punto di partenza per le nostre riflessioni nei gruppi di lavoro e negli scambi assembleari. Siamo consapevoli che, se l’Europa perdesse il senso della solidarietà tra singoli, popoli e Stati, sarebbe tradire il messaggio cristiano e un impoverimento della civiltà, una diminuzione del civis europeo.

3. La Chiesa in Europa ha una grande responsabilità: convinta e compatta, deve guardare in faccia la Terra dove la Provvidenza l’ha posta e che ha affidato alle sue cure di madre. Questa è la nostra Terra: sappiamo che prenderci cura pastorale di lei è premessa e condizione per prenderci cura del mondo. Il Santo Padre Francesco ha scritto con lucidità che “nella modernità si è verificato un notevole eccesso antropologico” (Papa Francesco, Laudato sì, n 16). Questo eccesso sta sfociando in ciò che gli esperti chiamano “transumanesimo”, per cui la dignità dell’uomo non consisterebbe nell’essere immagine e somiglianza di Dio, ma nella sua autonomia più assoluta, fino a trasformare non solo la natura, ma anche il proprio corpo: quanto più artificiali diventano i comportamenti umani – potremmo dire antinaturali – tanto più egli affermerebbe la sua autodeterminazione e quindi la sua dignità! Questo delirio porta ad una visione antipersonalistica, che si oppone alla stessa essenza dell’uomo come rapporto strutturale con gli altri, ossia alla sua capacità di partecipazione, di solidarietà, di comunione per realizzare il bene comune.

Viene diffusa e propagandata una crescente intolleranza per quella visione antropologica che il cristianesimo ha ispirato nel grembo europeo. Le conseguenze, però, di questa metamorfosi prendono forma nella solitudine, in una invivibile cultura del sospetto verso persone e istituzioni, ma anche in atteggiamenti di presunzione, di pretesa superiorità, di arroganza. Il clima si corrompe, i rapporti si indeboliscono e gli interessi particolari prendono il sopravvento sulla gratuità del servizio reciproco, dimenticando che tutti abbiamo bisogno di tutti. Dobbiamo essere vigili anche nelle nostre comunità.

4. La Chiesa crede nell’Europa, nella sua cultura cristiana, nella sua spinta umanistica nonostante ombre e ritardi; crede nel suo futuro e nella sua missione, che non è di tipo economico, ma spirituale ed etico. Crede – e la storia lo testimonia – che la cultura nasce dal culto, cioè dalla religione che svela agli uomini la loro origine e li richiama al loro destino generando civiltà, bellezza, fraternità operosa. Per l’Europa la fede è il nostro dono, la fede in Gesù Cristo è la nostra ricchezza; Lui è la nostra forza; Lui la nostra speranza. Riannunciare Cristo riteniamo che sia il più grande atto d’amore verso i nostri popoli e il Continente, il modo giusto di essere nel mondo senza essere del mondo. Non ci spaventa la nostra debolezza, i limiti, neppure i peccati che la condizione umana porta con sé e che sono fonte di dolore. La Chiesa è consapevole che la sua è innanzitutto un’autorità mistica e liturgica, e che la fonte è Cristo stesso, Salvatore del mondo. Il Signore ha posto nelle mani della Chiesa un tesoro universale senza del quale tutto diventa possibile, anche forme di totalitarismo laicista che in nome dell’uomo lo nega di fatto. La nostra storia sta lì a ricordare a noi e a tutti che allontanarsi da Cristo significa generare mostri; ricorda che parlare delle conseguenze del Vangelo senza parlare di Cristo può ottenere qualche iniziale attenzione, ma che presto svanisce.

Le giovani generazioni devono entrare in questa memoria per imparare a vivere nella verità e nel bene; per guardare al proprio futuro, ma anche a quello dell’Europa che di tutti deve essere casa. Siamo consapevoli che senza la grande Speranza, le speranze quotidiane non hanno consistenza, così come senza il grande Bene i nostri beni scolorano perché effimeri; senza Colui che si è fatto samaritano dell’umanità ogni forma di solidarietà si presenta fragile, esposta a calcoli che non rispondono alla gratuità che risplende sulla croce di Gesù.

In questa nostra assise, ci è caro fare appello anche ai sacerdoti, nostri primi collaboratori. A loro rinnoviamo la nostra stima e l’affetto di Padri e Pastori, e li incoraggiamo a non mancare mai di fiducia, a rinnovare la generosità nella quotidiana vicinanza alla gente, a camminare insieme – come gli antichi evangelizzatori – sulle strade del Continente per condividere con tutti – specialmente con i giovani – il tesoro della fede cristiana e della Chiesa. Il prossimo Sinodo sarà certamente una grazia per loro e per tutto il Popolo di Dio, e noi lo seguiremo con simpatia e con la preghiera, certi che lo Spirito del Risorto non cessa di guidare le anime e di affascinare i cuori, a cominciare dalle giovani generazioni.

Diamo ora inizio ai nostri lavori sotto lo sguardo della Santa Vergine di Częstochowa, di San Stanislao, di San Giovanni Paolo II e di tutti i Santi Patroni d’Europa, affidando a loro questa Chiesa, la Polonia, le nostre Comunità e il Continente europeo. Grazie.

 

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