Mons. Gądecki: dottrina non cambia, pastorale la attualizza

La dottrina sul matrimonio sia riscoperta. E’ questo uno dei suggerimenti offerti alla discussione da alcuni Padri sinodali secondo i quali l’amore misericordioso verso quanti vivono in situazioni irregolari non può prescindere dal mostrare loro ciò che la Chiesa e il Vangelo indicano come bene e vero, male e peccato. Al microfono di Paolo Ondarza, la riflessione in proposito del presidente della Conferenza Episcopale Polacca, mons. Stanisław Gądecki:

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R. – Molti dicono: non ripetiamo la dottrina, non ripetiamo queste cose che sono conosciute, concentriamoci sull’attività pastorale. Questo è un grande sbaglio perché l’impressione che tutti conoscano la dottrina sulla famiglia è del tutto falsa. Le opinioni diffuse tra i cattolici mostrano che la gente non è capace di ricordare i fondamentali dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia. Quindi, dobbiamo fare come ha fatto anche il Concilio Vaticano II, che era un Concilio pastorale: ha riproposto l’insegnamento della Chiesa e partendo da questo presupposto poi ha formulato una pratica pastorale ortodossa. La seconda questione è che noi abbiamo dimenticato il concetto del peccato: diciamo che siamo tutti peccatori, però il peccato non esiste. La misericordia, la conversione sono unite in modo stretto, ma senza la coscienza del peccato non è possibile parlare della misericordia.

D. – Potremmo dire che in una Chiesa attenta all’umanità ferita con le porte aperte è importante non dimenticare temi come il peccato?

R. – Senz’altro. Perché se la misericordia è una cosa incondizionata, indipendente dalla conversione. Allora perché parlare di giudizio universale? Perché parlare poi anche della condanna? Tutte queste cose non sono degli spauracchi ma, rivelano la condizione umana e sono parte integrante dell’antropologia cristiana.

D. – La critica che talvolta viene mossa alla Chiesa è di proporre una dottrina astratta…

R. – La pastorale è proprio immergere la dottrina nel tempo moderno. La pastorale fa sì che la dottrina non sia una cosa astratta, ma una risposta alle nostre condizioni odierne.

D. – Pensando alle situazioni “ferite”, come la questione dell’accesso alla comunione per divorziati e risposati civilmente, che cosa si può dire?

R. – La comunione ai divorziati e ai risposati civilmente è una questione molto delicata. Loro sono parte integrante della Chiesa, della vita della Chiesa. Hanno tante possibilità di realizzarsi all’interno della vita della Chiesa: nell’educazione dei figli, nelle opere di carità, nell’ascoltare la parola di Dio, nella presenza e la preghiera nella Chiesa. Quindi, non sono esclusi dalla vita della Chiesa a causa del divorzio. Però, quando parliamo della comunione, parliamo sempre di quell’unione integrale con Cristo di cui l’immagine è l’Eucaristia. All’Eucaristia può accedere colui che non è in uno stato del peccato, che si è confessato, che ha cercato di convertirsi, invece l’adulterio permane tra queste persone che sono divorziate e risposate. Si può parlare dell’empatia, della misericordia verso queste persone, ma il diritto dell’uomo non deve prevalere sul diritto di Cristo, sulle esigenze che Cristo ha posto nel Vangelo. Cambiare il Vangelo sarebbe una cosa molto pericolosa.

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