Omelia dell'Arcivescovo Stanislaw Gadecki: Fede, opere e croce (Cattedrale di Poznań – 16 settembre 2018)

Arcivescovo Stanisław Gądecki Fede, opere e croce. XXIV domenica ordinaria (Cattedrale di Poznań – 16 settembre 2018)

Eminenze, Signori Cardinali Eccellenze, Arcivescovi e Vescovi Cari sacerdoti Persone di Vita Consacrata Membri dei Consigli Diocesani Tutti radunati in questa più antica cattedrale polacca Tutti fedeli, che partecipano in questa Eucaristia, tramite la televisione e la radio.

In questi giorni a Poznań abbiamo vissuto un evento straordinario, cioè l’annuale Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa

Presenti qui i cardinali, arcivescovi e vescovi hanno riflettuto sulla questione umana e cristiana importante, il quale è la solidarietà e legato con essa volontariato. Tra immensa varietà dei paesi Europei, uno è chiaro – solidarietà e volontariato sono i segni dell’amore a Cristo, e la Chiesa è la più grande organizzazione, tra le istituzioni europee, la quale ha decine dei milioni dei volontari – come esulta dalla ricerca.

Questa domenica, quando con l’Eucaristia ringraziamo il Signore per le deliberazioni dell’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, vorrei dire qualche parola sulle tre questioni relative alle letture di oggi, vale a dire la fede, le opere, e la croce, che riflettono in qualche modo quello che è la solidarietà intesa non in modo laico, ma in modo cristiano.

  1. FEDE

La prima cosa è la fede. È più che un’accettazione teorica di alcune verità, più che l’imparare il Credo a memoria. La fede si esprime non solo nel riconoscimento di tutte le verità rivelate da Dio, ma soprattutto, nella fiducia in Lui e nelle opere che confermano questa fiducia. L’esempio più perfetto della fede dell’Antico Testamento era l’atteggiamento di Abramo. Dio ha promesso di dargli molti figli e di fare di lui il padre di una grande nazione, se lui si affiderà a Dio completamente lasciando la sua terra natale. “Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava” (Ebr 11:8).

Molto interessante è che, anche se la Bibbia riflette diversi secoli di storia di Israele, e presenta la storia del vasto numero di persone diverse, non ci troveremo da nessuna parte il dubbio espresso circa il fatto stesso dell’esistenza di Dio. Quando l’Antico Testamento dice che gli ebrei “non hanno creduto” in Yahweh, ciò non significa che loro dubitavano della sua esistenza. Ciò significa solo che gli ebrei non si fidavano di Lui, che cercavano altrove il loro sostegno della vita (si può dubitare di qualcuno non dubitando affatto della sua esistenza. Si può dubitare del suo potere, dell’intelletto, della fedeltà, della lealtà, dell’onestà, non ponendo allo stesso tempo in dubbio l’esistenza stessa di quella persona).

Le Sacre Scritture conoscono il tipo di conoscenza che si compie attraverso la “via della fede”. Questo tipo di conoscenza non può essere separata dalla ragione umana perché la Bibbia spesso presenta la fede come il consenso della mente con la verità percepita. Prima che gli ammalati o i loro badanti venissero a chiedere a Gesù la guarigione, avevano saputo che Cristo veramente guariva e che probabilmente li avrebbe aiutati. Sulla base del ragionamento arrivavano alla fede. Quindi la fede non è un’esperienza irrazionale, emotiva e incommunicabile che non trova sufficienti ragioni di ragionamento per la sua giustificazione. Essa è un discernimento razionale della precedente esperienza degli altri, o la loro testimonianza trattata come un segno. È una lettura razionale dei segni.

Cerchiamo di illustrarlo con una semplice immagine. Ora, immaginiamo di guidare una macchina e avvicinarci alla cima di una collina. Dal nostro punto di vista non si vede un ulteriore percorso oltre la collina. Ma questa mancanza di visibilità farà sì che fermeremo la macchina e andremo a piedi per cercare se la strada continua? Certamente no. Perché? Perché ci fidiamo del cartello posto sulla strada, il quale ci informa che questa strada ci porta nel luogo che vogliamo raggiungere. Inoltre, continueremo a guidare con la stessa fiducia di prima, perché “la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede” (Eb 11:1). “La vera religione va oltre la ragione. Essa non offende la ragione, ma la supera. Le persone non iniziano a guardare il mondo in modo diverso perché qualcuno ha scritto un libro che presenta importanti ragioni per questo. Lo fanno perché sentono che li ha toccato la presenza di Dio – a volte incarnata in una parola, a volte in una storia, a volte in un ricordo, liberati da un paragrafo letto” (H.S. Kushner, Chi ha bisogno di Dio, 37).

Se la dimensione esistenziale della fede viene confrontata con quanto proposto dalla filosofia esistenzialista, la quale afferma che la nostra vita è accidentale, fragile, piena di preoccupazione e angoscia, destinata alla morte, circondata dal nulla, è certo che un uomo di fede esistenziale vive la propria vita solo entro tali limiti determinati dal fatto di creare l’uomo dalla polvere della terra, cioè dal nulla (Gen 2,7).

Ma se la dimensione esistenziale si capisce nel modo che si riferisce alla nostra esistenza, alla nostra vita, al nostro modo di vivere, alla nostra realtà, si può sicuramente dire che la fede ha per noi una dimensione esistenziale, perché “per una ragione e un’anima religiosa il problema non era e non è l’esistenza di Dio, ma il significato di Dio, il ruolo che Dio svolge nella nostra vita. Credere nell’esistenza di Dio, come si crede nell’esistenza del Polo Sud, sebbene nessuno abbia mai visto né l’uno né l’altro; credere nella realtà di Dio, come si crede nella realtà del teorema di Pitagora – una stretta, astratta sentenza che non ha alcun effetto sulla vita di tutti i giorni – una tale fede non è un atteggiamento religioso. Dio, che esiste, ma non importa e non gioca alcun ruolo nella nostra vita, potrebbe anche non esistere.... Il problema non è questo come Dio è. Il problema è che tipo di persone diventiamo quando ci uniamo a Dio” (H.S. Kushner, Chi ha bisogno di Dio, 18-19).

  1. OPERE

Il secondo argomento sono le nostre opere che scaturiscono dalla nostra fede. Nel Nuovo Testamento sembrano esistere due percorsi opposti che portano alla giustificazione. Uno – rappresentato dall’apostolo Paolo – conduce alla giustificazione per la fede. Il secondo – descritto dall’apostolo Giacomo – conduce allo stesso obiettivo attraverso le opere. A prima vista, questi due modi si escludono a vicenda.

Paolo, nella Lettera ai Galati, dice: “Sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno” (Gal 2:16).

D’altra parte, l’apostolo Giacomo dice: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? [...] Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. [...] Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Gc 2:14-17.21-24.26)

Una soluzione brillante di questa apparente contraddizione può essere trovata presso Sant’Agostino (83 Questioni diverse, Questione 76), il quale afferma che le parole di San Giacomo saranno comprese correttamente solo quando le tratteremo come un commento alle parole di San Paolo.

“Poiché l’apostolo Paolo, affermando che l’uomo è giustificato dalla fede senza le opere, non è stato bene compreso da quanti hanno interpretato la frase in modo da ritenere che, dopo avere una volta creduto in Cristo, anche se agissero male e conducessero una vita criminosa e perversa, possono ugualmente salvarsi grazie alla fede, il passo di questa lettera espone come si deve intendere il pensiero stesso dell’apostolo Paolo.

Si serve perciò di preferenza dell’esempio di Abramo per dimostrare che la fede, se non opera il bene, è vana. Anche l’apostolo Paolo si è servito dell’esempio di Abramo per confermare che l’uomo è giustificato dalla fede senza le opere della legge. Quando ricorda le buone opere di Abramo, che hanno accompagnato la sua fede, mostra a sufficienza che l’apostolo Paolo non ha affatto insegnato, con l’esempio di Abramo, che l’uomo è giustificato dalla fede senza le opere, sicché chi crede non si preoccupi di operare il bene. Ma ha piuttosto insegnato che nessuno deve ritenere di essere giunto per i meriti delle opere precedenti al dono della giustificazione che dipende dalla fede. [...]

Per questo motivo l’apostolo Paolo afferma che l’uomo può essere giustificato dalla fede senza le opere precedenti. Infatti chi è giustificato dalla fede, come potrebbe in seguito operare diversamente se non secondo giustizia, anche se prima non ha compiuto niente di giusto, essendo pervenuto alla giustificazione della fede non in virtù delle opere buone ma per grazia di Dio, che in lui non può più essere vana, perché ormai opera il bene in forza della carità? Se, dopo aver creduto, egli uscisse subito da questa vita, rimane in lui la giustificazione della fede, senza le buone opere precedenti, perché egli l’ha ottenuta per grazia e non per merito, e neppure le successive, perché non gli è concesso di restare in questa vita. È chiaro perciò che quanto dice l’Apostolo: Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere, non deve intendersi nel senso che possa chiamarsi giusto chi, avendo ricevuto la fede e restando in vita, vivesse poi malamente. […]

Lo stesso apostolo Paolo predica insistentemente e apertamente in molti luoghi ciò che dice anche Giacomo: che tutti coloro che hanno creduto in Cristo devono vivere rettamente per non incorrere nel castigo. Lo ricorda anche lo stesso Signore, dicendo: Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli entrerà nel regno dei cieli. E altrove: Perché mi chiamate: "Signore, Signore", e poi non fate ciò che dico? E ancora: […] E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica è simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.

Pertanto le sentenze dei due Apostoli Paolo e Giacomo non si contraddicono, quando uno dice che l’uomo è giustificato per la fede senza le opere e l’altro dice che la fede senza le opere è vana; perché uno parla delle opere che precedono la fede, l’altro delle opere che seguono la fede, come anche lo stesso Paolo spiega in molti passi [...] (Sant’Agostino, Ottantatre questioni diverse, Kęty 2012, 270-271).

Quindi, è giusto quanto disse Max Planck: “La scienza è necessaria per conoscere e la fede per le opere e la condotta” (Max Planck).

  1. CROCE

La terza questione è la croce. Nel Vangelo di oggi, Gesù si rivolge a Pietro con le parole: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.

Con queste parole il nostro Salvatore si riferisce al nostro destino eterno. Il destino che è il risultato della sfiducia del nostro antenato Adamo verso il Creatore. Ingannato e schietto dal serpente, Adamo abbandonò la sua filiale fiducia in Dio perché voleva sperimentare nella sua vita il bene e il male. Come conseguenza del suo peccato, il male, la sofferenza e la morte entrarono nel mondo. I tragici risultati di questo fatto sono diventati fin troppo evidenti nella nostra storia, nella storia dei discendenti di Adamo.

L’uomo non può salvarsi dagli effetti di questo male; solo Dio può liberarlo dalla schiavitù morale e fisica. Dio, che ha amato il mondo così tanto da mandare il suo Figlio unigenito, non per condannare il mondo – che sembrava essere richiesto dalla giustizia – ma affinché il mondo potesse essere salvato attraverso di Lui. L’unigenito Figlio di Dio doveva essere esaltato – proprio come il serpente nel deserto era esaltato da Mosè - affinché tutti coloro che lo guardavano con fede potessero avere la vita.

“La croce, pertanto, è qualcosa di più grande e misterioso di quanto a prima vista possa apparire. Indubbiamente è uno strumento di tortura, di sofferenza e di sconfitta, ma allo stesso tempo esprime la completa trasformazione, la definitiva rivincita su questi mali, e questo lo rende il simbolo più eloquente della speranza che il mondo abbia mai visto. Parla a tutti coloro che soffrono – gli oppressi, i malati, i poveri, gli emarginati, le vittime della violenza – ed offre loro la speranza che Dio può trasformare la loro sofferenza in gioia, il loro isolamento in comunione, la loro morte in vita. Offre speranza senza limiti al nostro mondo decaduto.

La Croce non è semplicemente un simbolo privato di devozione, non è un distintivo di appartenenza a qualche gruppo all’interno della società, ed il suo significato più profondo non ha nulla a che fare con l’imposizione forzata di un credo o di una filosofia. Parla di speranza, parla di amore, parla della vittoria della non violenza sull’oppressione, parla di Dio che innalza gli umili, dà forza ai deboli, fa superare le divisioni, e vincere l’odio con l’amore. Un mondo senza croce sarebbe un mondo senza speranza, un mondo in cui la tortura e la brutalità rimarrebbero sfrenati, il debole sarebbe sfruttato e l’avidità avrebbe la parola ultima. L’inumanità dell’uomo nei confronti dell’uomo si manifesterebbe in modi ancor più orrendi, e non ci sarebbe la parola fine al cerchio malefico della violenza. Solo la croce vi pone fine. Mentre nessun potere terreno può salvarci dalle conseguenze del nostro peccato, e nessuna potenza terrena può sconfiggere l’ingiustizia sin dalla sua sorgente, tuttavia l’intervento salvifico del nostro Dio misericordioso ha trasformato la realtà del peccato e della morte nel suo opposto” (cf. La Croce dà al mondo una speranza, Nicosia, Messa con sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, catechisti ed esponenti di movimenti ecclesiali, Chiesa della Santa Croce, 5 giugno 2010).

Le croci odierni sembrano essere più pesanti rispetto a quelli del tempo di Gesù, perché questo mondo è stato quasi completamente dominato dalla cosiddetta ideologia del postmodernismo. Questa ideologia sta cambiando sostanzialmente la situazione spirituale in Europa. Sotto la sua influenza le società postmoderne prendono le caratteristiche delle soocietà utopistiche, ossia cominciano a credere nella possibilità di raggiungere l’immortalità terrena e la perfezione. Questa ideologia – riferendosi al pensiero di Antonio Gramsci e la Scuola di Francoforte – ha fatto un cambiamento rivoluzionario del carattere della sovrastruttura, che è un cambiamento di cultura, la quale è stata resa lo strumento dell’ideologia. Tutta l’energia di questa nuova ideologia è diretta alla liberazione, all’emancipazione. È destinata alla liberazione dalle strutture tradizionali che presumibilmente rendono l’uomo schiave e lo alienano.

Una potente minoranza, che dirige questo processo, finge di essere una maggioranza potente, usando l’arma della derisione. Questa volta lo strumento per raggiungere questo scopo dagli autori di questa ideologia non è più un terrore tradizionale, che – in caso della rivoluzione francese, quella bolscevica e quella nazista – si rivelò alla fine inefficace, ma il suo equivalente morbido, ossia un sistema giuridico sempre più ermetico, che fa la guardia della nuova ideologia, e la violenza simbolica praticata dai media e dai centri di formazione di opinioni. Se qualcuno dice qualcosa, non restando sui sentieri imposti, i media reagiscono immediatamente, accusandolo di populismo.

Per la sua natura materialistica, il postmodernismo rimane un’idea profondamente marxista, cercando di rimuovere ogni pensiero metafisico e anche la presenza di Dio, relegando la religione alla sfera strettamente privata. La voce del popolo diventa oggi solo un pretesto a cui si fa ricorso quando è utile. Quando la gente non vota come dovrebbe, sarà fatta votare di nuovo. Probabilmente l’Europa è già diventata luogo di una versione tenera del totalitarismo. Questa controcultura ideologicamente orientata ha dominato in gran parte i centri di opinione, i media, le università. È stata essa a formare la nuova élite, a colonizzare la politica. L’ideologia è diventata un surrogato laico di religione che dovrebbe rispondere a tutte le domande fondamentali dell’uomo e che progetta la salvezza terrena. Purtroppo, con il crollo dell’ordine tradizionale, la persona umana ha perso fiducia in se stessi, mentre l’ansia relativa a un senso di causalità dell’esistenza, la mancanza di senso dell’esistenza e la solitudine diventano sempre più struggenti e visibili (cf. B. Wildstein, O kulturze i rewolucji, Warszawa 2018, 15-24; Ch. Delsol, Nienawiść do świata, Warszawa 2017).

CONCLUSIONE

Davanti a questa croce ci chiediamo: Dove possimo trovare l’aiuto?

“Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra. Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele”.

(Sal 121, 1-4)

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